IL SALUMIERE

14 Maggio 2024

IL SALUMIERE: IL DECLINO DELL’EREDITA’ FAMILIARE

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Era l’ottobre del 1996. Appena laureato in Ingegneria mi trovavo di fronte a un bivio: proseguire per la mia strada o aiutare l’azienda di famiglia. Il salumificio a Cioccaro di Penango, gestito da mio padre e fondato nel 1700 dai miei avi, che secondo il mio punto di vista aveva un ottimo potenziale.

Ho deciso di entrare a far parte dell’azienda di famiglia e come prima cosa ho analizzato la situazione iniziale: un solo dipendente part-time e un fatturato di 80 milioni di lire.

Ho ottenuto immediatamente la certificazione HACCP, siamo poi diventati il primo salumificio in Piemonte a ricevere la ISO 9001. Abbiamo assunto nuovi dipendenti e ampliato la produzione. In soli due anni e mezzo, il fatturato è schizzato a un miliardo di lire, con cinque dipendenti al nostro fianco.

Mentre mio padre si dedicava alla produzione, io mi sono concentrato sulla parte qualitativa, sulla sicurezza alimentare e sul commerciale. Ho iniziato a viaggiare per tutta Italia, stringendo accordi con importanti gruppi della grande distribuzione come Crai, Carrefour, Auchan e Coop. Il successo era tangibile, solo mio padre si rifiutava di vederlo.

Le difficoltà e la scelta sofferta

Tuttavia, l’aumento del fatturato ha portato subito a tensioni familiari. Mio padre, uomo di poche parole e abituato a gestire l’azienda in modo tradizionale, faticava ad adattarsi al mio approccio più imprenditoriale e orientato al futuro. Le nostre opinioni divergevano sempre, io avevo una visione a medio lungo termine, lui no.

Ogni mio sforzo per incrementare il fatturato aziendale veniva ostacolato. Ricordo il più eclatante di tutti con un gruppo distributivo di Napoli con cui ero riuscito a chiudere un contratto da 500 milioni di lire l’anno per la produzione di un unica referenza, il salame Milano.

Mi sono sentito dire che noi eravamo in Piemonte e il salame Milano non lo potevamo produrre.

A quel punto ho dovuto prendere la decisione di lasciare l’azienda di famiglia. La gestione era diventata insostenibile, dovevo sempre districarmi tra una vecchia mentalità e la gelosia che si era venuta a creare dopo i miei successi.

Il declino e la perdita dell’eredità familiare

Purtroppo, la mia assenza ha segnato l’inizio di un declino inesorabile. Mio padre che sapeva produrre i salumi ma non li sapeva vendere, non è riuscito a reggere il passo con le sfide del mercato. La sua salute ha ulteriormente aggravato la situazione. Si è trovato nella condizione di dover vendere l’azienda che è fallita poco dopo.

Tutto questo ha innescato parecchi problemi economici che hanno coinvolto l’intera famiglia.

Lasciando l’azienda di famiglia, credevo di aver chiuso un capitolo importante della mia vita. In realtà, la storia del salumificio era tutt’altro che conclusa. Il fallimento dell’attività, che ha coinvolto l’intera famiglia, mi ha costretto a rientrare in gioco per salvare la situazione, nonostante le tensioni e i contrasti passati e presenti.

Rientrare in gioco non è stato facile. I rapporti con mio padre non erano idilliaci. Ho dedicato tempo, soldi ed energie al tentativo di risanare la situazione economica creatasi dopo il fallimento, affrontando ostacoli burocratici, debiti e problemi legali.

Nonostante il mio impegno e i sacrifici fatti, non ho ricevuto il riconoscimento che avrei sperato. Non ci sono state parole di gratitudine da parte di mio padre o degli altri membri della famiglia.La vicenda del salumificio di famiglia è stata una lezione di vita dura ma preziosa. Ho imparato l’importanza della comunicazione, del rispetto reciproco e della gestione dei conflitti all’interno di un’impresa familiare.

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Carlo Farotto, email: carlo@farotto.it